Notizie dal Festival


  • 18 Marzo 2016

La websierie Arthur e l’omaggio a David Bowie

Con la webserie Arthur l’antagonista sociale diventa simpatico

Per la prima volta in Italia Reality, omaggio a David Bowie

Ieri, seconda giornata del Ca’ Foscari Short Film Festival, sono stati presentati due dei programmi speciali più attesi dal pubblico: la presentazione della webserie svizzera Arthur e l’omaggio a David Bowie con la proiezione di Reality di Steven Lippman.

Arthur è stato presentato e proiettato per la prima volta su uno schermo fuori dalla Svizzera. Sul palco è salito il rappresentante del Consolato Svizzero che ha sede a Venezia, Massimiliano Maltoni, il qualche ha presentato il produttore Alberto Meroni, l’autore Nick Rusconi, la sceneggiatrice Chloe de Souza e il direttore della fotografia Giacomo Jaegli. La serie Arthur, prodotta da RSI e inmagine SA, è stata girata nel Canton Ticino e i suoi 10 episodi, che hanno una durata di circa 5 minuti ciascuno, sono stati diffusi sul sito web della RSI a partire dagli inizi di Ottobre 2015.

Il protagonista Arthur, interpretato da Ettore Nicoletti, è un uomo che si contraddistingue dal resto della società a causa dei suoi comportamenti bizzarri, quasi maniacali, e del tutto anomali rispetto a quelli delle persone che lo circondano. Ama il silenzio e preferisce passare il suo tempo con Zed, un uomo anziano paralizzato e muto a causa di un ictus, piuttosto che avere relazioni sociali con altre persone. L’odio che prova nei confronti dell’umanità sfocia in omicidi violenti e brutali, a cui tenta di porre fine svariate volte, ma sempre con esiti negativi. Ogni volta che compie un omicidio, Arthur, in modo ironico e divertente, rinnova a se stesso la volontà di mettere fine a queste cattive “abitudini” come se dovesse decidere di smettere di fumare, ma finisce sempre per rimandare (“Le diete iniziano il lunedì”).

L’idea di Arthur nasce dall’esigenza di creare un personaggio accattivante e che possa rompere gli schemi: nella vita di tutti i giorni sarebbe l’antagonista della società ma, attraverso l’ironia, Arthur diventa un antieroe carismatico e amato dal pubblico. Anche la violenza e la sua voglia di uccidere sono rappresentati sarcasticamente, facendo riflettere sulle crudeltà e gli abusi che passano inosservati nella realtà odierna. Arthur non è solo una webserie, ma anche un gioco online che rende la serie ancora più intrigante e divertente: in ogni episodio della serie si possono trovare degli indizi che ci faranno scoprire la vita passata di Zed, l’amico silenzioso di Arthur.

Dunque non sono da sottovalutare i dettagli che si possono trovare nei 10 episodi della serie, così come sono difficili da non notare le citazioni da George Eliot, Clive Cussler, Joe R. Lansdale e i riferimenti ai generi pulp, hard boiled e splatter. Come affermato dai creatori stessi, c’è la volontà di continuare la webserie e creare una seconda stagione, ma non è ancora stata confermata.

A seguire, è stato poi presentato il programma speciale David Bowie: Reality omaggio al grande artista curato da Michele Faggi, il quale, dopo una breve presentazione, ha dato l’opportunità al pubblico del Festival di assistere a Reality di Steven Lippman, un singolare film-poesia, diventato ormai pressoché introvabile dopo il 2005 e che, grazie al Ca’ Foscari Short Film Festival, viene presentato per la prima volta in Italia.

Il documentario si articola come una particolare intervista “decostruita”, realizzata dal regista stesso a Bowie, le cui risposte vengono presentate in vari momenti durante la visione, creando così un disorientamento sensoriale, con scene caotiche e spezzoni di clip nei quali si vede il cantante esibirsi sulle note di quattro brani presenti nell’omonimo album: Never Get Old, The Loneliest Guy, Bring Me The Disco King e New Killer Star. Ci troviamo di fronte a una continua frammentazione. Parole, frasi che sono quasi aforismi, a volte accavallate le une sulle altre, a volte immerse in lunghe pause silenziose. Vediamo Bowie che risponde ad un interlocutore che non è altro che la sua immagine virtuale in uno schermo circondato di LED. Vediamo continui ritagli di luce e di ombra che con giochi caleidoscopici irrompono prepotentemente nel campo visivo e finiscono per farne parte. Sentiamo le note sensuali del piano di Bring Me the Disco King mentre Bowie scava a mani nude la terra di una foresta di luci, prima di accasciarsi al suolo sotto una luccicante palla da discoteca. Vediamo fotogrammi di città notturne, fluide nel loro continuo vivere anche al calar del sole, flash di lampioni e di fari che diventano quasi pennellate di un dipinto espressionista. Un viaggio che non ha dimensione fisica ma va intrapreso dall’interno, a partire dalla frammentazione della coscienza che ognuno di noi possiede e nella quale, ogni tanto, è bello immergervisi.

Steven Lippman, con il suo documentario, è riuscito, in un modo unico, a presentarci e a farci vivere il genio multiforme di un artista che ha fatto la storia della musica internazionale dagli anni ’60 fino ai giorni nostri. “Molta più musica, cose visive e tattili”, – una frase che David Bowie ripete più volte durante il film – rappresenta perfettamente ciò che Bowie voleva trasmettere con le sue opere e che può essere visto come il filo conduttore di Reality. Steven Lippman è un regista di film, videoclip e documentari. Ha lavorato per diverse star internazionali come David Bowie, Laurie Anderson, Rosanne Cash, Joe Henry, Dolly Parton, Jorge Drexler e molti altri. I suoi lavori sono stati presentati nel contesto di svariati festival di cinema, tra cui Cannes, Londra, Berlino, San Paolo e molti altri. Gli sono già state dedicate svariate retrospettive internazionali. Per la realizzazione di questo documentario ha potuto utilizzare dei bozzetti originali disegnati da Bowie stesso.

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