Una masterclass con Luca Bigazzi
Sette David di Donatello, sette Nastri d’Argento e la firma sul film premio Oscar La Grande Bellezza: Luca Bigazzi è semplicemente il direttore alla fotografia più importante del cinema italiano — e non solo — contemporaneo. Inizia la sua carriera nel cinema nel 1983 con Paesaggio con figure di Silvio Soldini e da qui avvierà un sodalizio artistico con il regista che lo porterà a conquistare il suo secondo David di Donatello, nel 2000 con Pane e tulipani. Nel 2014 conquista il suo settimo David con La Grande Bellezza e nel 2022 è stato ricandidato con Ariaferma. Collabora, fra gli altri, anche con Mario Martone, Giuseppe Piccioni, Ciprì e Maresco, Paolo Virzì, Daniele Luchetti, Abbas Kiarostami.
Nel 2004 inizia a curare la fotografia dei film di Paolo Sorrentino e ottiene una nuova serie di prestigiosi riconoscimenti: con Le conseguenze dell’amore nel 2005 il vince il David di Donatello, per This Must Be the Place il nastro d’Argento per il miglior direttore della fotografia nel 2012, con La grande bellezza l’Oscar come miglior film straniero nel 2014 e ancora con Youth – La giovinezza per il miglior film agli European Film Awards nel 2015.
La carriera di Luca Bigazzi cavalca la transizione tra digitale e analogico. Il suo primo lavoro con Silvio Soldini è stato girato a soli 23 anni in bianco e nero e con una 16 mm, ma oggi non rimpiange affatto quei tempi, dato che in più occasioni ha dichiarato di preferire il digitale sia per qualità sia per le possibilità che offre, e soprattutto per l’illuminazione: come infatti ha sostenuto, se prima una stanza veniva illuminata con molteplici luci, oggi con il digitale ne basta solamente una per ottenere dei risultati straordinari. Dunque nei suoi film dà molto rilievo alla luce che ritiene uno specifico strumento espressivo: basti pensare al film Il Divo in cui sono particolarmente demarcati i momenti estremamente scuri rispetto a quelli chiarissimi, in modo da parafrasare la stessa storia che racconta di luci e ombre.
Il metodo di lavoro di Luca Bigazzi si può riassumere con semplici parole: leggerezza, delicatezza e velocità. Intuisce le esigenze del film, predilige le luci leggere, preferisce i neon perché sono versatili e donano luce naturale alla scena. Nel suo lavoro detesta tutto ciò che fa perdere tempo e che toglie spazio al regista e agli attori. Inoltre la genialità della sua opera sta nell’evolversi e cambiare continuamente, senza voler apporre una sua unica firma, ma mettendosi sempre a disposizione del film, comprendendone i desideri e adattandone la luce.
Nonostante il suo primo amore sia il cinema, si è impegnato anche in ambito televisivo realizzando due serie del regista Paolo Sorrentino. La prima, The Young Pope del 2016, racconta l’inizio del controverso pontificato di Pio XIII (interpretato da Jude Law), un personaggio complesso e contraddittorio, così conservatore nelle sue scelte da rasentare l’oscurantismo, ma allo stesso tempo straordinariamente pieno di compassione per poveri e deboli. Ha realizzato anche il suo sequel The New Pope nel 2020, che vede anche in questo caso protagonista Jude Law nei panni di Pio XIII. The Young Pope si tratta della prima — e a oggi unica — serie televisiva italiana a essere stata candidata ai Golden Globe e agli Emmy, dove proprio il lavoro di Luca Bigazzi è stato riconosciuto con la nomination alla fotografia.
Luca Bigazzi ha quindi dato prova negli anni di essere un grande direttore della fotografia, collaborando con i migliori registi e sapendosi rinnovare ad ogni film.
Sulla fotografia di Luca Bigazzi
Velocità, meticolosità, sprezzo delle regole consolidate, notevole predisposizione ad adattarsi anche di fronte ai budget più bassi: sono queste, al di là di un talento innegabile, le caratteristiche che hanno fatto sì che Bigazzi diventasse il più importante direttore della fotografia degli ultimi trent’anni del nostro cinema.
Alessandro Aniballi, Quinlan
La sperimentazione fotografica innovativa e curiosa delle nuove possibilità offerte dallo sviluppo della tecnologia di ripresa e di manipolazione dell’immagine tipiche di Bigazzi, il suo utilizzo creativo delle sorgenti di luce naturale e i giochi di contrasto creati nelle sue riprese – artifici caratteristici della fotografia di The Young Pope – sono caratteristiche fondamentali delle sue riprese. (…) Ma è grazie alle sue suggestive inquadrature che l’espressività e il pathos della scena si rivela allo spettatore. La capacità di Bigazzi di “piegare” la luce al suo scopo espressivo senza ricorrere a fonti luminose artificiali, e contemporaneamente di catturarla in riprese e contrasti quasi caravaggeschi, è il fattore fondamentale dell’attività artistica di Bigazzi come operatore di macchina.
Rosario Sparti, minima&moralia
Bigazzi usa la luce come strumento espressivo (…).In [un] esterno-notte, Bigazzi raggiunge un’intensità e un’autenticità davvero non comuni. Ricordandoci che spesso, al cinema, il fatto di credere o non credere a quello che vediamo dipende in larga parte proprio dalla luce.
Gianni Canova, welovecinema.it