C’è stato un periodo, nella storia del cinema italiano, in cui la realizzazione di film d’animazione era inestricabilmente legata a un nome, quello di Bruno Bozzetto, e a un fenomeno televisivo, il programma pubblicitario Carosello; e se la trasmissione finale di quest’ultimo risale al 1978, Bozzetto è tuttora uno dei punti di riferimento dell’ambito, pressoché irraggiungibile in termini di originalità, forza e coerenza creativa; decisamente un traguardo invidiabile per un autore che all’animazione ci è approdato quasi per gioco, mosso – agli inizi – dalla passione per il disegno, per i primi film Disney (tuttora Bambi, del 1942, rappresenta una delle sue principali fonti d’ispirazione) e per i cortometraggi caratterizzati da un messaggio sofisticato e da una grafica semplice e immediata, come quelli del National Film Board of Canada, che fecero intuire al giovane Bozzetto le potenzialità del cinema d’animazione pur in presenza di budget non particolarmente alti.
È per gioco, appunto, che Bozzetto produce il suo primo lavoro, il corto Tapum! La storia delle armi (1958); in un panorama come quello dell’animazione italiana, che fino ad allora aveva prodotto appena due lavori davvero rilevanti, ovvero I fratelli Dinamite (1949) e La rosa di Bagdad (1949), le possibilità di carriera erano piuttosto limitate. Tuttavia, il film – incentrato sull’evoluzione degli utensili da offesa, dalle fionde preistoriche alle bombe atomiche del XX secolo – ottiene un certo successo a Cannes, grazie anche all’umorismo satirico (e ancora un po’ didattico) sul tema dell’aggressività umana. La scoperta di una vena di comicità amara con cui viene ritratta la Storia dell’uomo e la società contemporanea – una caratteristica alla quale Bozzetto si manterrà sempre fedele in tutti i suoi exploit creativi dei decenni successivi, compreso il celebre Cavallette del 1990 – incoraggia l’autore a muovere i primi passi nell’ambito, resi possibili anche dall’introduzione di Carosello, che nel 1957 inizia le proprie trasmissioni. Per vent’anni, Carosello rappresenterà una delle principali fucine creative per l’animazione in Italia, dai cortometraggi su Calimero dei fratelli Pagot alle opere in claymation di Fusako Yusaki, e permetterà a Bozzetto di realizzare lavori commerciali (mantenendo però sempre una certa libertà artistica), di collaborare con autori anch’essi destinati a un’importante carriera (in particolare Guido Manuli e Giuseppe Laganà), e soprattutto garantirà una certa autonomia, anche economica, grazie alla quale Bozzetto potrà completare numerose opere caratterizzate da un umorismo delicato e malinconico, talvolta con sterzate in direzione della satira più feroce, e graficamente debitrici, oltre che della già citata scuola canadese, anche degli autori indipendenti USA e dei disegnatori della Zagreb film.
Il Signor Rossi, uomo medio in cappello rosso e baffetti, talvolta accompagnato dal cane Gastone, diventa inoltre ben presto l’alter ego disegnato di Bozzetto, che lo introduce in Un oscar per il signor Rossi (1960); ispirato a una vicenda realmente vissuta dal regista (lo scarso successo della proiezione a un festival di Bergamo di un cortometraggio da lui girato), Rossi – benintenzionato e poetico, ma spesso sfortunato personaggio – consentirà a Bozzetto di sviluppare la propria vena più adulta, in un lungo ciclo di cortometraggi e lungometraggi ispirati alla vita quotidiana: le vacanze, l’automobile, la settimana bianca. Questa impronta malinconica caratterizza anche gran parte dei lavori più riusciti dell’autore, sia pure non incentrati sul personaggio di Rossi (a sua volta destinato, in anni recenti, anche a diventare protagonista di vignette satiriche pubblicate su quotidiani nazionali): in Alfa Omega (1961) Bozzetto racconta con toni pessimisti la vita di un anonimo personaggio, disegnato con pochi tratti essenziali, mentre in Una vita in scatola (1967) a essere presa di mira è l’esistenza metropolitana, vista come una serie di interminabili viaggi dentro e fuori grigi edifici – la scuola, la fabbrica, la casa – le “scatole” del titolo, appunto.
Con molta autoironia e forse anche con un pizzico di insofferenza, Bozzetto inizia negli stessi anni anche a prendere di mira se stesso, o meglio la propria attività di pubblicitario e le connotazioni consumistiche ad essa legate: è proprio una gag legata alla pubblicità a chiudere West and Soda (1965). Il film è il primo lungometraggio dell’autore, riuscitissima rivisitazione dei western e – indirettamente – dei film Disney: così come molti lungometraggi animati dell’epoca erano ispirati a fiabe preesistenti, Bozzetto decide di trarre un film da una fiaba moderna, ovvero le pellicole di cowboy e indiani, all’epoca popolarissime. Il lavoro che ne risulta è un vero capolavoro grafico (alcuni character design sono degni di Saul Steinberg) e narrativo: tutti i classici topoi del genere vengono ripresi e parodiati con grande affetto, e il film è tuttora considerato un classico dell’animazione italiana. Sorte analoga toccherà a Vip mio fratello superuomo (1968), anch’esso parodia, stavolta del genere supereroistico (il minuscolo e sfortunato protagonista è una versione scalognata dell’Uomo Mascherato di Lee Falk), ma anche e soprattutto satira feroce dell’universo pubblicitario; infatti, la “cattiva” del film, Happy Betty, è una sorta di villain bondiano intenzionato a produrre una sorta di lavaggio del cervello su scala globale per convincere tutta l’umanità a comprare nei suoi supermercati. Picco creativo dei lungometraggi animati di Bozzetto è infine Allegro non troppo (1976), che comprende anche delle sequenze in live action con protagonista il regista e sceneggiatore Maurizio Nichetti, già collaboratore di Bozzetto. Il film è apparentemente anch’esso uno scherzo-omaggio, stavolta nei confronti del Fantasia (1940) disneyano, ma ancora una volta il termine “parodia” non offre che una discrezione riduttiva. Negli episodi del film – ognuno contraddistinto da uno specifico pezzo di musica classica – si ritrova tutta la poetica dell’autore: la satira sulla pubblicità, la malinconia della vecchiaia, l’inquinamento.
Allegro non troppo è al momento l’ultimo lungometraggio di Bozzetto; il quale è però riuscito in anni più recenti a sfruttare anche nuovi mezzi per la realizzazione di film d’animazione, ricorrendo al web per un ciclo di cortometraggi in Flash Animation, che comprende, tra l’altro, Europa e Italia (1999). Utilizzando dei simboli essenziali – praticamente solo dei cerchi e delle mappe viste dall’alto – Bozzetto riesce a produrre un’altra satira, questa volta incentrata sui primati (anche in senso negativo) degli italiani in ambito europeo: un approccio visivo che risulterà vincente e che Bozzetto sfrutterà anche in Yes and no (2001) e Femminile e maschile (2004), e porterà persino alla creazione di un nuovo personaggio ricorrente, Mister Otto, a dimostrazione di quanto sia ancora inesauribile la vena creativa di uno dei “padri” – ma artisticamente sempre un “ragazzo” – dell’animazione italiana.
Davide Giurlando
OPERE PRESENTATE AL FESTIVAL:
Una vita in scatola (1967 – 6’)
Comprimendo l’intero ciclo della vita in soli sei minuti, si mette in evidenza che i nostri continui impegni ci fanno spesso dimenticare il reale significato della vita.
(Corto del 1967 che, quasi 50 anni dopo, parla ancora moltissimo anche alla società attuale.)
Cavallette (1990 – 8’)
Per la natura, nel grande orologio dell’evoluzione terrestre, cinque o diecimila anni non rappresentano che una manciata di secondi. Qual è il ruolo dell’uomo su questo sconfinato palcoscenico?
(Cortometraggio nominato all’Oscar nel 1991.)
Europa e Italia (1999 – 5’)
Il film racconta con ironia la diversità di comportamento degli italiani rispetto agli altri popoli europei.
(Si apre con: “Questo film è dedicato a tutti coloro che credono che gli italiani si comportino allo stesso modo di tutti gli altri europei”, ma anche chi conosce meglio gli italiani potrà godersi questo film).