Teatro metamorfico: luci e miraggi di Manuele Fior

A cura di Davide Giurlando


Rileggendo L’ora dei miraggi (2017), parziale ma illuminante catalogo dell’opera del disegnatore Manuele Fior (nato nel 1975 a Cesena da famiglia friulana, laureato a Venezia e da allora nomade per il mondo: Europa del nord, Parigi, Berlino e di nuovo Venezia), pare di sfogliare un album di progetti architettonici schizzati all’interno di un sogno lucido. Ricorrono le prospettive organizzate logicamente, all’interno di composizioni realistiche, prive di omaggi riconoscibili ad altri autori (Fior, come da lui stesso dichiarato in un’intervista al sito Fumettologica di giugno 2022, preferisce non avvalersi dell’autoreferenzialità spesso caratteristica dell’ambito del fumetto). Tuttavia, irrompono di tanto in tanto squarci surrealisti: in una copertina realizzata per Linus nel 2014, all’indomani dell’attentato al Bataclan di Parigi, una coppia di innamorati si innalza a mezz’aria, incurante delle squadre d’assalto della polizia. Ricorrono presagi e paesaggi onirici: un Caronte con sullo sfondo una montagna dalle sembianze mortifere, realizzata per Repubblica sempre nel 2014; una Monica Vitti del 2011 dalla “bellezza piena di vento e di fumo”; un sogghignante gatto Behemoth, illustrazione realizzata per un’edizione Feltrinelli de Il Maestro e Margherita di Bulgakov.

Non citazioni, come si è detto, né debiti con maestri del fumetto o dell’illustrazione: esplorazioni, piuttosto, o visite in territori artistici “altri” o paesaggi mitologici che Fior ha ripreso nelle proprie opere: la montagna-teschio, per esempio, suggerisce un interesse per il simbolismo che l’autore riprende anche in uno dei racconti della raccolta I giorni della merla (2016) in cui narra un soggiorno a Ischia di Arnold Böcklin. Tuttavia, anche molto prima, in Rosso oltremare (2006), romanzo grafico premiato con il premio Attilio Micheluzzi, realizzato successivamente ai primi incarichi come illustratore e copertinista per riviste come la norvegese Ny Tid, erano emerse suggestioni dal mito di Icaro, che per l’occasione Fior aveva intrecciato con le vicende di un suo allucinato alter ego, un architetto ossessionato dal labirinto di Creta.

Sotto il profilo visivo, in Rosso oltremare i personaggi emergono dalla tavola grazie alle contrapposizioni tra sagome essenziali composte esclusivamente da macchie di rosso, bianco e nero – uno stile che ricorda quello di importanti tappe del graphic novel moderno, come per esempio la rivista Rubber Blanket (1991-1993) dell’americano David Mazzucchelli. Fior plasma la pagina trasformandola nel palco di un gioco di ombre multicolori, un approccio che sarà sviluppato ulteriormente nel suo lavoro successivo, La signorina Else (2009), adattamento a fumetti dell’omonimo lavoro di Arthur Schnitzler. Ispirato nel tratto dai lavori di Munch e Spillaert (come dichiarato da Fior, “il disegno, come tutte le arti, si nutre della sofferenza e la trasforma in qualcosa di osservabile”), il testo narra una vicenda incastonata in uno specifico ambito sociale – quello della borghesia viennese all’inizio del XX secolo, contraddistinta da ipocrisia e cinismo –, declinando però al suo interno temi senza tempo, “eterni” appunto, come quello dei tabù sessuali. L’evoluzione  dello spazio in cui si muovono i personaggi nel corso della storia segue un andamento ipnotico: seguendo passo passo il testo di Schnitzler (a ogni pagina del fumetto corrisponde una del racconto) i caratteri mutano colori (la protagonista è color viola nella notte di San Martino di Castrozza, gialla negli interni dell’hotel dove pernotta e così via) così come gli sfondi in cui si muovono; il testo viene continuamente riorganizzato – balloon, didascalie, testi in corsivo di lettere che separano le immagini, trasformando il monologo interiore schnitzleriano in un flusso di coscienza visivo.  Una dimensione intima, quella de La signorina Else, che torna anche nel delicato Cinquemila chilometri al secondo (2010), premiato tra l’altro con il Gran Guinigi a Lucca Comics e il Fauve d’Or come miglior fumetto al Festival d’Angoulême. Le vicende dei protagonisti, coinvolti in un triangolo amoroso, sono raccontate tramite “balzi temporali” che mostrano il progressivo, reciproco allontanamento (emotivo e geografico) seguito da un tentativo di ricomposizione; lo stile cambia, si evolve di pari passo con il progressivo invecchiamento dei personaggi, e gli adolescenti rappresentati in modo essenziale, dinamico, quasi elettrico della prima parte acquisiscono progressivamente peso e tridimensionalità, fino a diventare adulti di mezza età, “reali” anche nei tratti che li delineano, nel finale.

Fior individua nella dinamicità dei film di Truffaut una delle ispirazioni per Cinquemila chilometri al secondo. È possibile che il cinema francese – in particolare l’Alphaville di Jean-Luc Gordan – giochi un ruolo anche ne L’intervista (2013), prima incursione importante di Fior nel territorio della fantascienza, premiato – fra l’altro – al Comicon di Napoli e al Festival della BD di Montréal: nei pressi di un’Udine futuristica – ma sostanzialmente molto simile a quella del mondo attuale – uno psicoterapeuta è coinvolto in una serie di avvistamenti UFO. Nonostante sia fino ad allora il lavoro di Fior che smargina più esplicitamente nel fantastico, l’approccio è visivamente tra i più realistici: un livido bianco e nero, a tratti quasi tridimensionale, in cui gli oggetti alieni ricordano origami o cristalli imperscrutabili, simili a certe geometrie di Kandinskij. Anche i protagonisti, ispirati nella fisionomia a personaggi fantascientifici preesistenti (uno di loro, Dora, riprende le principesse di Matsumoto Leiji), sono calati nella realtà e si fanno corporei, reali.

Dopo Le variazioni d’Orsay (2015), un “esercizio di stile” a detta dell’autore stesso, nonché un’incursione in guazzo nella vita e nei panorami degli Impressionisti, Fior ritorna al fantastico con Celestia (2019); Dora, già personaggio principale de L’intervista, ritorna da coprotagonista in una Venezia postapocalittica in cui l’autore filtra attraverso la propria sensibilità il Miyazaki di Conan e il Moebius di Venezia Celeste. Castelli inesplicabili – sorta di quadri di Mondrian trasposti nel mondo reale – e malinconici Pierrot con cappelli a pagoda popolano questo mondo, caratterizzato da un’architettura del resto coerente e precisa (con molte libertà, ovviamente: Fior include nella sua Venezia anche edifici inesistenti, progettati ma mai concretamente realizzati). Tuttavia, i margini del “reale” sono anche qui sottoposti a metamorfosi: in una memorabile sequenza, la linea dell’orizzonte al tramonto si fa via via più astratta, fino a ricordare l’accelerazione nello spazio infinito di 2001: Odissea nello spazio. È infine del 2022 Hypericon, sensuale racconto di coppia oscillante tra la Berlino degli anni ’90 e l’egiziana Valle dei Re del 1922, sorta di “film” illustrato (si tratta del primo lavoro di Fior realizzato a partire da uno storyboard) il cui climax, che non sveliamo, è rappresentato da una riconoscibile e tragica immagine di inizio anni ‘2000.

Davide Giurlando

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