Cronostar – Divismo & Senilità

Un workshop a cura di Francesco Pitassio


Nella navata sinistra della basilica di S. Giacomo, nella città vecchia di Praga, si trova il monumento funebre del cancelliere Václav Vratislav da Mitrovice (1714-1716), opera del grande scultore barocco Ferdinand Maxmilián Brokof (1688-1731). Si tratta di una composizione allegorica, in cui al centro è posta la figura del cancelliere, addormentata tra le braccia di una donna; sopra di lui, a sinistra, la figura di una Fama addita il suo stemma, al di sotto a sinistra la figura femminile piangente della Contemplazione. Ma è a destra la statua che più attira l’attenzione, per la violenza plastica della figura: Crono, raffigurato mentre guarda dalla parte opposta del cancelliere e brandisce invece nella sua direzione una clessidra, barbuto e con le carni cadenti, con due enormi ali piumate che disegnano un semicerchio intorno alla composizione. La divinità greca della Teogonia esiodea, confusa o sovrapposta a quella orfica, illustra una nozione ineludibile e divorante del Tempo, ripresa anche nella tradizione figurativa occidentale: un vecchio pronto a divorare fama, gloria e gioventù. In che maniera il tempo, il suo inesorabile scorrimento e i segni che incide sui corpi umani, è concepito e rappresentato? In che modo i corpi di attrici e attori portano le tracce della trasformazione biologica legata al passare degli anni e che effetto questo ha sulle storie che contribuiscono a narrare e sulle loro carriere?

Alla fine degli anni Cinquanta, l’intellettuale francese Edgar Morin dedica un libro pionieristico all’analisi del divismo: Le star (1957). In esso, Morin tenta con successo di fondare un’antropologia del divismo, aprendo il volume con un capitolo intitolato “Il tempo dei divi”. Se dive e divi concretizzano nella moderna società mediatica preoccupazioni, categorie e sostanze eterne (il Doppio, l’erotismo, l’avventura, la forza), le loro forme sono tuttavia mutevoli nel corso del tempo: all’alba del fenomeno, le star hanno un carattere quasi ultraterreno e mitologico sul piano narrativo e rappresentano un ideale di eterna giovinezza; nel momento in cui Morin scrive, invece, “i divi tendono a profanizzarsi, ma senza perdere le loro mitiche qualità elementari. […]. I canoni di bellezza-giovinezza che fissavano l’età ideale di 20-25 anni per le dive e 25-30 per i divi, diventano più elastici.”[1] E oggi? Cosa è cambiato? Nell’anno di uscita di Le star l’aspettativa media di vita in Francia era di 68.9 anni, negli Stati Uniti di 69.4, in Italia di 67.8. Nel 1913, quando lo stardom si afferma contemporaneamente, ancorché con forme diverse, in Europa e negli Stati Uniti, rispettivamente di 51.3, 53.5 e 48.4. Nel 2021 un francese può ragionevolmente attendersi di campare fino a 82.5 anni, uno statunitense fino a 77.2 e un italiano raggiungere addirittura gli 82.9![2] Le forme umane di esistenza nella società del benessere sono radicalmente mutate, rispetto a equilibri millenari. E con esse il modo in cui noi ci raffiguriamo. Ma non solo. Anche l’evoluzione dei media ha accompagnato questa transizione, con generazioni di spettatori cinematografici che sono rimaste fedeli al cinema, invecchiando con esso, mentre le generazioni successive hanno individuato altre forme di intrattenimento, rappresentazione e racconto. Per esempio, negli Stati Uniti, se alla metà degli anni Trenta quasi il 65% della popolazione visitava ogni settimana una sala cinematografica, tre decenni dopo meno del 10% dei potenziali spettatori pagava un biglietto per vedere un film sul grande schermo. Da allora e senza considerare la crisi dovuta al Covid, queste percentuali sono rimaste sostanzialmente stabili.[3] Se i dati statistici contemporanei confermano una presenza prevalentemente giovanile in sala e motivano la centralità produttiva di generi a essa indirizzati (animazione, action movie, super-eroi e horror), una categoria inesistente nell’età d’oro del divismo, gli over-65, riveste una rilevanza inedita pochi decenni fa.[4] Che conseguenza ha questa trasformazione?

Quando Gloria Swanson interpreta in Sunset Boulevard (Viale del tramonto, Billy Wilder, 1951) Norma Desmond, la star del cinema muto ha appena compiuto 52 anni. Eppure, il personaggio della diva estromessa dalla produzione con l’avvento del sonoro e rinchiusa nella propria lussuosa villa, ossessionata dal desiderio di tornare sul set, porta su di sé i tratti di una senilità mostruosa e deviante, vorace e squilibrata: il solo modo per tornare davvero sul set per Norma è abbracciare fino in fondo la propria follia. Settant’anni dopo, alla stessa età René Zellweger incarna la celeberrima star e cantante Judy Garland, in Judy (R. Goold, 2019), scomparsa quando aveva tre anni meno dell’attrice che la interpreta e per questa performance riceve l’Oscar per la miglior attrice protagonista. Un anno dopo, il medesimo riconoscimento viene attribuito a Frances McDormand, ultrasessantenne, per l’interpretazione di Fern in Nomadland (C. Zhao, 2020), nel medesimo anno in cui Sofia Loren, quasi nonuagenaria, viene insignita del David di Donatello per La vita davanti a sé (E. Ponti, 2020). Corpi, personaggi, storie sugli schermi sono mutati insieme alle nostre comunità e alle idee che nutriamo di noi stessi e spesso il cinema europeo ha raccolto il guanto della sfida nel modo più coraggioso e perturbante. Amour (M. Haneke, 2012), interamente imperniato intorno alle disavventure del fisico e della mente di una coppia di anziani interpretati dagli ultraottuagenari Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant, ne è forse l’esempio più lucido e lancinante. Provare a riflettere su chi siamo e come ci pensiamo (anche) attraverso il cinema può dirci qualcosa su cosa possiamo (ancora) fare ed essere.

[1] Edgar Morin, Le star, CUE Press, Imola 2021, p. 25.

[2] https://ourworldindata.org/life-expectancy (ultima consultazione(latest consultation: March 8, 2023)

[3] https://www.businessinsider.com/movie-attendance-over-the-years-2015-1?r=US&IR=T (ultima (latest consultation: March 8,  2023)

[4] I dati italiani più recenti sono rinvenibili a/ the most recent Italian data can be found at: https://www.statista.com/statistics/734906/cinema-attendance-distribution-by-age-group-in-italy/ (ultima (latest consultation: March 8, 2023)

 

In dialogo con Roberta Torre

In occasione del Workshop, Francesco Pitassio dialogherà con la regista Roberta Torre sulle tematiche  di divismo e senilità in riferimento al suo film Le Favolose (2022).

LE FAVOLOSE (2022)
Succede spesso che in punto di morte le persone trans vengano private della loro identità. Le famiglie si vergognano, i funerali avvengono in gran segreto e sulle lapidi è inciso il nome che avevano prima della transizione vanificando con violenza tutto il percorso compiuto. È quello che accade anche ad Antonia. Le sue amiche si riuniscono per rievocarla, nel tentativo di restituirle la sua identità negata. Le protagoniste, stelle della sconfinata costellazione trans, nel mettere in scena questa storia, la intrecciano con il loro vissuto raccontando storie e ricordi dei loro percorsi.

ROBERTA TORRE
Regista, sceneggiatrice, scrittrice, Roberta Torre è riconosciuta come una delle artiste più eclettiche del panorama italiano. Nasce a Milano dove, dopo gli studi filosofici, si forma alla Paolo Grassi e alla Luchino Visconti. Esordisce con due musical: Tano da morire, il primo sulla mafia e Sud Side Story. I suoi film sono premiati nei maggiori festival, tra cui Venezia, Cannes, Sundance. Vince svariati David di Donatello e Nastri d’Argento con Tano da morire (1998), Angela (2001), Mare Nero (2006), I baci mai dati (2010), Riccardo va all’Inferno (2017).

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