Un programma speciale a cura di Davide Giurlando
Il lungometraggio Tron (1982), di Steven Lisberger, diventato con gli anni un cult movie per moltissimi appassionati di fantascienza di tutto il mondo, è spesso considerato uno dei primi film a utilizzare massicciamente la grafica computerizzata. In realta`, quanto si vede nella pellicola è digitalizzato solo parzialmente: la tecnologia dell’epoca non permetteva ad attori ripresi dal vivo e sfondi ricreati in digitale di convivere all’interno della medesima inquadratura, e nella maggior parte delle sequenze visivamente piu` affascinanti si fece ricorso a tecniche d’animazione tradizionali. Inoltre, nonostante la fama di Tron (fama superiore, probabilmente, ai reali meriti artistici del film), gia` negli anni ’70 il digitale era stato utilizzato per la realizzazione di alcuni cortometraggi sperimentali.
In Sunstone (1979) il regista Ed Emshwiller utilizzo` una colorazione quasi interamente computerizzata e riusci` a creare un effetto tridimensionale (un cubo espanso rotante, con un’immagine diversa su ognuna delle sue facce) con almeno due anni di anticipo sul primo vero sistema di grafica digitale capace di proiezioni prospettiche, l’Ampex Digital Optics, creato nel 1981. Analogamente, nel video musicale Autobahn (1979), Roger Mainwood riusci` a mescolare animazione tradizionale con sequenze realizzate in una primitiva computer grafica.
Naturalmente, al giorno d’oggi molte di queste sperimentazioni appaiono estremamente datate, e spesso piu` afferenti al mondo della video art che a quello del cinema a soggetto. Tuttavia, cio` non toglie che per due lunghi decenni, quelli degli anni ’80 e ’90, i film in animazione computerizzata hanno convissuto fianco a fianco con l’animazione tradizionale e le opere realizzate in stop motion. Alcuni dei corti interamente in digitale storicamente piu` importanti (come Luxo Jr., di John Lasseter, del 1986, con protagonista la lampada da tavolo vivente poi diventata il simbolo della Pixar) sono stati realizzati nei medesimi anni in cui i film d’animazione tradizionale della Disney conoscevano la loro ultima e piu` importante rinascita artistica (iniziata con La sirenetta, nel 1989); e, almeno per i primi tempi, non sono state infrequenti “contaminazioni” tra le due tecniche (come nelle sequenze ambientate nel Big Ben, ricreate con l’ausilio del computer, in Basil l’investigatopo, del 1986).
In alcuni casi, ci sono state persino delle “intersezioni” estetiche involontarie fra i due approcci all’animazione: il celebre corto Your Face (1987) di Bill Plympton, incentrato su un personaggio dai lineamenti vagamente reaganiani che canta una melensa canzone d’amore mentre il suo viso subisce delle assurde metamorfosi, presenta mutazioni straordinariamente plastiche che ricordano la tecnica digitale del morphing, all’epoca ancora piuttosto primitiva (anche se era stata gia` usata nel corto animato La faim di Peter Foldès, del 1974).
Oggi, la tecnica digitale è diventata la regola per la realizzazione di tutti i film d’animazione (anche i film animati in 2D in realta` usano massicciamente il computer in fase di lavorazione), e i lavori interamente caratterizzati dalla grafica tridimensionale, come la saga di Toy Story, sono diventati predominanti nell’industria del cinema. Tuttavia, anche se tecnicamente la grafica computerizzata è estremamente complessa e dettagliata, le sue potenzialita` espressive e artistiche sono ancora quasi totalmente inesplorate, specialmente se messe a confronto dei risultati che nel corso di un secolo sono riuscite a ottenere l’animazione tradizionale e la stop motion. I film realizzati in grafica tridimensionale riescono a creare ambienti e corpi solidi di una verosimiglianza stupefacente, ma è proprio la loro levigatezza a limitare le potenzialita` artistiche di questi lavori.
L’animazione tradizionale e la stop motion non producono necessariamente effetti perfettamente verosimili o fluidi; tuttavia, è spesso in questa imperfezione che risiede il loro fascino. Alcuni cortometraggi d’animazione storicamente importanti sono volutamente “sporchi”, o si rifanno a tecniche grafiche o pittoriche che difficilmente potrebbero essere adottate nel campo del digitale, o almeno nel campo della grafica tridimensionale. L’animatore russo Aleksandr Petrov, per realizzare i propri film (tra cui lo straordinario Rusalka, del 1996, incentrato su un ammaliante e letale fantasma femminile), dipinge lastre di vetro con colori a olio, creando dei veri e propri “dipinti animati” di grande forza espressiva. I fratelli Quay, americani d’origine ma inglesi d’adozione, utilizzano volutamente marionette danneggiate o arrugginite per filmare le loro oniriche visioni a passo uno, come nel caso del ciclo Stille Nacht (1988-2001).
Le bambole animate dei film in stop motion dell’artista Kawamoto KihachiroÅP sono ricche di richiami al teatro giapponese, al Bunraku, al No e al Kabuki, e la loro attrattiva risiede proprio nell’essere pupazzi concreti, fisicamente esistenti, che si muovono sullo sfondo di scenografie dipinte e ritagliate: è difficile pensare che lo stesso effetto sarebbe ottenibile attraverso personaggi ricreati digitalmente. Probabilmente, non è un caso che in molti lungometraggi in grafica tridimensionale di recente realizzazione, alcune delle sequenze piu` ricche di invenzioni visive siano quelle dei titoli di coda, spesso realizzati proprio attraverso l’animazione bidimensionale (come in Piovono polpette 2, del 2013, o WALL•E, del 2008); o che lavori realizzati interamente in digitale, come The LEGO Movie (2014), tentino di imitare il piu` possibile la caratteristica scattosita` dei film in stop motion, ritenuta particolarmente appropriata per un film i cui protagonisti vivono in un mondo di mattoncini colorati.
L’animazione in grafica tridimensionale è, semplicemente, ancora troppo recente, e per il momento non è possibile immaginare il tipo di evoluzioni che potra` subire. Ci sono effettivamente state delle interessanti sperimentazioni artistiche, limitate perlopiu` a singoli episodi o autori. In Ryan (2004) di Chris Landreth, un surreale documentario incentrato sull’intervista (reale) di Landreth all’artista canadese Ryan Larkin, un tempo promessa dell’animazione e all’epoca di Ryan precipitato nell’alcolismo e nella poverta`, l’autore evidenzia i traumi psicologici dei personaggi attraverso sfregi e deformazioni del loro corpo: le metamorfosi mostruose a cui sono sottoposti i personaggi del film seguono l’andamento dei loro discorsi e il loro ondivago stato psicologico, e sono ispirate alle opere esposte nella mostra itinerante dei Body Worlds di Gunther von Hagens, composta da corpi umani preservati attraverso il procedimento della plastinazione.
Lavori come Ryan, tuttavia, sono ancora troppo rari perché si possa individuare una discernibile via “autoriale” per l’animazione digitale. È possibile, comunque, che la progressiva diffusione di software sempre piu` abbordabili, soprattutto economicamente, per utenti privati (il piu` noto è il programma gratuito Blender, con il quale sono stati gia` creati cortometraggi tecnicamente avanzatissimi, come Sintel, del 2009) permetta di aprire nuove strade espressive per questo approccio all’animazione. L’evoluzione futura, come spesso avviene, nascera` dalla fusione tra varie tecniche: cortometraggi come Paperman (2012), realizzato dalla Disney, stanno esplorando la possibilita` di armoniose “contaminazioni” tra animazione in 2D e 3D; mentre lavori come Appuntamento a Belleville (2003), che non disdegnano di usare (sia pure in maniera molto marginale) solidi creati digitalmente, rilanciano tutta l’attualita` e le infinite possibilita` espressive dalla classica animazione disegnata. Intanto, la forma d’animazione piu` antica, quella in stop motion (uno dei primi cortometraggi animati con questa tecnica, Matches: An Appeal, è del 1899 e precede di quasi un decennio le creazioni del pioniere dell’animazione Emile Cohl), conosce una nuova giovinezza in lungometraggi come ParaNorman (2012) e nei film di giovani autori emuli del mago del cinema a passo uno, l’”alchimista” ceco Jan Švankmajer: tra gli altri, basti ricordare PES (al secolo, Adam Pesapane), regista di cortometraggi apparentemente leggeri ma in realta` ricchi di riflessioni non banali sul senso della percezione e della materia.
Materia animata, dipinti animati, bozzetti animati e oggetti animati; e adesso creazioni digitali, cioè ispirate a modelli reali ma prive di fisicita`. Strade espressive sempre piu` complesse, inimmaginabili fino a qualche decennio fa, ma tutte fedeli (piu` o meno consapevolmente) all’idea originale e ai principi, ormai piu` vecchi di un secolo, secondo i quali, Cohl e Méliès, Starewicz e de Chomon crearono le primi animazioni: il senso dello spettacolo, della meraviglia, e del gioco di prestigio.
A special program by Davide Giurlando
Steven Lisberger’s feature film Tron (1982), which has become a cult movie for a huge number of science fiction enthusiasts all over the world, is often regarded as one of the first movies which massively used computer graphics. However, what the movie shows is only partially created through the implementation of digital techniques: at that time, the level of technology did not allow live actors and digitally-created backgrounds to share the same shot, and some of the most evocative sequences were created by traditional cel animation. Moreover, in spite of Tron’s reputation (which is probably superior to the movie’s real artistic merits), in the ‘70s computer techniques had already been used to create some experimental short movies. In Sunstone (1979) the director Ed Emshwiller made use of almost entirely computer-generated colors and managed to create a three-dimensional effect (a rotating, expanded cube with a different image for each of its faces) almost two years before the first real system of computer graphics able to make perspective projections, the Ampex Digital Optics, which was created in 1981. Similarly, in Roger Mainwood’s music video Autobahn (1979), the director succeeded in mixing traditionally drawn animation with sequences realized in a primitive computer graphics.
Obviously, nowadays many of these experimentations seem extremely dated, and they belong to the world of video art rather than to scripted cinema. However, for two long decades, the ‘80s and the ‘90s, computer-generated movies existed side by side with traditional animation movies and stop motion films. Historically speaking, many of the most important computer-animated movies (like John Lasseter’s 1986 short movie Luxo Jr., whose main character, a living desk lamp, would later become Pixar’s symbol) were made in the period when the traditionallyanimated movies by Disney were experiencing their last but most important artistic rebirth (which began in 1989, with The Little Mermaid); for the first years at least, “contaminations” between the two techniques were not that rare (in The Great Mouse Detective, made in 1986, the sequences inside the Big Ben tower were created with the aid of computer graphics). In some cases, there were even some unintentional aesthetical “intersections” between the two approaches to animation: Bill Plympton’s celebrated short movie Your Face (1987) is a film focused on a vaguely Reagan-like character whose face undergoes a sort of metamorphosis leading to plastic mutations, all this while he is singing an overly the “morphing” effect, still rather primitive at the time (even if it had been implemented in Peter Foldès’ 1974 short movie La faim).
Today, computer techniques are regularly used in making animated works (even to make 2D movies computer effects are massively used) and films entirely characterized by 3D graphics, such as the Toy Story saga, which have become a model for the cinema industry. However, even if technically speaking computer graphics is extremely complex and detailed, its expressive and artistic potential is still almost entirely unexpressed, especially when we compare the movies created with this technique with those made with traditional or stop motion techniques. Computer-generated movies are able to recreate extraordinarily plausible environments and bodies, but their smoothness somehow represents a limit to the artistic potential of these works. Traditional animation and stop motion techniques do not necessarily create perfectly plausible or flowing visual effects; however, their true charm lies on this imperfection. Some historically important animated movies are deliberately “dirty” in their style, or contain references to pre-existing graphic effects or painting techniques which could hardly be adopted by three-dimensional graphics. To make his movies (like the astonishing short film Rusalka of 1996, telling about a charming and lethal female ghost), Russian animator Alexander Petrov used oil paints on glass sheets, in order to create incredibly expressive “animated paintings”. The Quay brothers (Americans by birth but living in England) deliberately used damaged and rusty puppets to film their dreamlike visions in stop motion, as is the case of the Stille Nacht cycle (1988-2001). Artist Kawamoto Kihachiro’s stop motion animated dolls are rich with references to Japanese theatre, to Bunraku, No and Kabuki, and their main charm consists in their being physically existing puppets, which move on the background of cutout and painted sceneries: it is hard to think that the same effect could be recreated through computer-generated characters. It is probably not a coincidence that in several recentlymade feature films in 3D graphics, some of the most inventive, visually-rich sequences are the end credits, which are often realized in 2D animation (as in the 2013 movie Cloudy with a Chance of Meatballs 2, or WALL•E, made in 2008). Even entirely computermade motion pictures, like The LEGO Movie (2014), attempt to visually recreate the typical “jerkiness” of stop motion films, an element which is particularly appropriate for a movie whose characters live in a world made of tiny, colored bricks.
3D graphics animation is simply too recent, and it is almost impossible to foresee the evolution it will be subject to. There have been interesting artistic experiments though, even if they were generally limited to single movies or directors. Chris Landreth’s short movie Ryan (2004), a surreal documentary based on Landreth’s interview to Ryan Larkin; the Canadian animator had once been one of the most promising artists in the animation field, but later he had seriously taken to drinking and had fallen into poverty. –The author clearly emphasizes the characters’ psychological traumas by scarring and deforming their bodies. Their grotesque mutations follow the progress of their talks and their wavering psychological state, and are inspired by the works by Gunther von Hagens’ travelling exhibition Body Worlds, made of human bodies which are preserved by the anatomical technique of plastination.
Works like Ryan, though, are still too rare to outline a discernible “authorial” path for computer-generated animation. However, it is possible that the progressive diffusion of more and more financially affordable software for private users (the most famous is probably the free program Blender, which has already been used to create technically advanced short movies, like Sintel in 2009) will open new expressive paths for this approach to animation. Future evolution, as it often happens, will probably derive from the fusion between different techniques: short movies like Paperman (2012), made by the Disney studios, are currently exploring the possibilities of harmonious “contaminations” between 2D and 3D animation, while works like Les triplettes de Belleville (2003) ) demonstrate the modernity and the endless possibilities of traditionally-drawn animation, although even if they don’t categorically discard the use of CGI (insofar as limited to very marginal elements). In the meantime stop motion, probably to be considered the oldest animation technique (one of the first stop motion short movies, Matches: an Appeal, was made in 1899, almost a decade before the works by Emile Cohl, the pioneer of animation), was revived in feature films such as ParaNorman (2012) and in the short movies made by young directors, often inspired by Jan Švankmajer, the Czech “alchemist”, one of the most important stop motion animators ever. Among the others, director PES (Adam Pesapane) should be mentioned: his films are apparently thoughtless, but in fact they are rich of original reflections on the perception and conception of matter.
Animated matter, animated paintings, animated sketches and animated objects; and now computergener ted creations, inspired by real-life models but devoid of physical substance. Expressive paths which are becoming more and more complex, almost unimaginable some decades ago. They are undoubtedly faithful to the original ideas and principles behind Cohl, Méliès, Starewicz and de Chomon’s first animated movies: the sense of entertainment, wonder and illusionism.