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  • 22 Marzo 2024

PHILIPPE LE GUAY IN UN MONDO DI PERSONAGGI

Ieri sera all’Auditorium di Santa Margherita il Ca’ Foscari Short Film Festival ha ospitato la masterclass dedicata al regista e sceneggiatore francese Philippe Le Guay, noto per il suo peculiare eclettismo e per la sua prolificità in ambito cinematografico. Parigino di nascita e di formazione, dopo aver completato i suoi studi in ambito letterario, Le Guay è entrato all’Institut des hautes études cinématographiques nel 1980, dove ha coronato il suo sogno di fare cinema. La sua filmografia, che vanta tredici lungometraggi, di cui tre per la TV, prende avvio nel 1989 con Le Deux Fragonard e arriva fino ai tempi più recenti con Un’ombra sulla verità (2021). La notorietà arriva nel 2014 con il film Le donne del 6◦ piano che vede come protagonista il pluripremiato attore Fabrice Luchini, presenza ricorrente nelle pellicole del regista.

La prima parte dell’incontro, organizzato in collaborazione con l’Alliance française, è stata moderata da Marie Christine Jamet che ha posto una serie di domande al regista, con l’obiettivo di delineare le tappe principali della sua carriera da cineasta. Le Guay è partito dal suo sconfinato amore per il cinema, coltivato sin dall’infanzia, fino agli anni trascorsi all’IDHEC, di cui ha ricordato le importanti amicizie strette all’interno della scuola. Le domande di Jamet hanno riportato l’attenzione sugli esordi della carriera dell’ospite, attraverso la citazione del suo primo cortometraggio, Le Clou (1984), ispirato a un evento realmente accaduto nell’infanzia del regista. Le Guay ha inoltre riflettuto sul suo rapporto con l’arte della recitazione e il ruolo dell’attore, scoperto frequentando studenti di teatro che, quando recitavano testi di Shakespeare o Molière, lo trasportavano completamente in un altro mondo.

Durante la seconda parte della masterclass sono stati riprodotti alcuni estratti da sei suoi lungometraggi, scelti da Gabrielle Gamberini, per esplorare in maniera significativa il mondo creativo di Philippe Le Guay, che ruota attorno alla rappresentazione di situazioni che, apparentemente stabili, vengono sconvolte da un improvviso elemento esterno. Il primo film trattato è stato Il costo della vita (2003), in cui si ritrae in maniera estremamente sfaccettata il rapporto degli esseri umani con il denaro. Il regista ha dichiarato: “L’ispirazione per questo film è il cinema italiano, che padroneggia l’arte di raccontare i difetti e le debolezze degli umani. In particolare, penso ai personaggi di Alberto Sordi”. Gamberini ha poi presentato un estratto di Tre otto (2001), lungometraggio tratto da una storia vera e ambientato in una fabbrica, che riflette realisticamente sui rapporti di forza in ambienti prettamente maschili e sul concetto di virilità associato alla violenza psicologica e fisica. Si è poi passati a Molière in bicicletta (2013), uno dei film più celebri del regista, una rappresentazione nella rappresentazione la cui storia, ispirata al Misantropo di Molière, è incentrata sul conflitto tra i due personaggi principali e sul modo in cui gli spettatori si possono riconoscere ora nell’uno, ora nell’altro. Il regista ha parlato anche del rapporto che intrattiene con l’attore protagonista Fabrice Luchini: “Provo per lui una forma di fascinazione ma anche di rifiuto, ma nonostante questo lavoriamo insieme da oltre venti anni”.

L’intervistatrice ha poi voluto discutere il rapporto tra autore e personaggio attraverso altri due estratti di Normandia nuda (2019) e Un’ombra sulla verità (2021). Entrambi i film affrontano tematiche controverse come quella del cambiamento climatico e del negazionismo storico: “Mi piace dare la parola ai miei personaggi” ha dichiarato, “anche se non condivido appieno quello che dicono”. Ultimo film citato, ma sicuramente non per importanza, è stato Le donne del 6◦ piano (2011) che indaga il rapporto tra classi raccontando la storia di un uomo di affari che riscopre la gioia di vivere attraverso la frequentazione di alcune domestiche spagnole che vivono al sesto piano del suo palazzo parigino. A spiccare sullo schermo è proprio la rappresentazione dei diversi stili di vita: “Tutti noi nelle nostre vite possiamo aprire porte e scoprire posti diversi, per me questo film è metafora del desiderio di spostarci e di scoprire mondi nuovi”.

La masterclass si è conclusa con le domande da parte del pubblico, che hanno permesso al regista di dare una definizione piuttosto precisa del proprio mondo creativo, “un mondo di un certo colore, una volta mi piacevano le storie, gli scenari rigorosi, oggi quello che mi tocca di più è la tenerezza e l’umorismo dei personaggi”.

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