Si è conclusa ieri la prima giornata, ricca di eventi, del Ca’ Foscari Short Film Festival, il festival di cinema breve della laguna veneziana. Giunto alla sua quattordicesima edizione, è stato inaugurato all’Auditorium Santa Margherita da Elti Cattaruzza, Prorettore al Diritto allo studio e servizi agli studenti di Ca’ Foscari, che ha portato sul palco i saluti della Rettrice Tiziana Lippiello. Paola Mar, Assessore del Comune di Venezia, ha poi sottolineato la potenza comunicativa del cortometraggio in quanto materializzazione artistica delle idee dei giovani. Invitato sul palco, il Direttore generale della Fondazione di Venezia, Giovanni Dell’Olivo, ha lodato il coraggioso dialogo tra culture promosso dal Festival. I riflettori si sono spostati infine sulla Direttrice artistica Maria Roberta Novielli, la quale ha rivolto il suo commosso ringraziamento al pubblico, dichiarandosi grata in particolare nei confronti dei 200 studenti coinvolti nella realizzazione dell’evento e di tutti i giovani registi in concorso.
Ospite principale della giornata è stata Joanna Quinn, icona dell’animazione britannica candidata agli Oscar e vincitrice di Emmy e BAFTA, che ha raccontato, conversando con l’esperto d’animazione Davide Giurlando, l’inizio della sua carriera a Londra, dove ha realizzato il suo primo corto, Girls Night Out (1986), come progetto finale di laurea in graphic design. L’autrice ha svelato come, nonostante all’inizio non credesse di poter avere una carriera nel campo, avesse deciso di presentare il cortometraggio al Festival d’animazione di Annecy, vincendo tre premi e ottenendo così riconoscimento nel mondo dell’animazione. Dopo la visione in sala di Girls Night Out, Giurlando ha fatto notare l’impegno femminista di Quinn, evidenziando come il personaggio principale, Beryl, rappresentasse non solo donne lavoratrici ma, soprattutto, esteticamente realistiche. In seguito, il pubblico ha potuto ammirare anche la carica politica dell’autrice attraverso la proiezione di Britannia, un viaggio di cinque minuti nel cuore dell’imperialismo inglese. Quinn ha poi raccontato in breve il suo processo creativo, sottolineando come questo suo lavoro dedicato e preciso di animatrice non sia solo tecnica, ma anche una finestra aperta sulla sua anima. Ha raccontato infatti come, dopo anni trascorsi nel mondo della pubblicità, abbia sentito il richiamo dell’arte e come questo desiderio lo abbia trasposto sul personaggio di Beryl, nel suo ultimo capolavoro candidato all’Oscar che ha poi mostrato in sala. Questo è Affairs of the Art, opera carica di emozioni, riflessioni sulla perdita e sui sogni dei suoi personaggi. Alla fine dell’incontro Quinn ha regalato un’esperienza preziosa, condividendo in un vero e proprio workshop consigli tecnici, schizzi e progetti delle sue animazioni, attraverso una telecamera posta sopra il suo tavolo da lavoro e predisponendo alcune cartelle a terra, a disposizione di chiunque fosse curioso di osservare i disegni che hanno poi preso vita nei suoi corti.
In serata sono stati poi presentati i primi sei cortometraggi dei trenta selezionati per il Concorso Internazionale, provenienti da università e scuole di cinema di 28 Paesi differenti. Ad aprire la serata è stato La notte, il film degli italiani Martina Generali, Simone Pratola, Francesca Sofia Rosso prodotto nel Centro Sperimentale di Cinematografia di Torino. Il corto è ispirato al concerto RV 439 “La Notte” di Vivaldi ed è ambientato in una festa del Carnevale di Venezia dove, tra l’opulenza gastronomica e le preziose maschere, un imbucato Pulcinella, per mano sbadata, svela quanto priva di sostanza sia la realtà che circonda lui stesso e i suoi sogni. Successivamente è stato mostrato Panic at the Wedding del regista tunisino Haythem Ben Hmida. Il film è da lui dedicato “ai martiri dell’istituzione del matrimonio in Tunisia”. Mostrando la morte per soffocamento della protagonista proprio durante il matrimonio e ironizzando sul paradossale disinteresse che ne segue, il regista riesce a dimostrare perché secondo lui il matrimonio in Tunisia sia la “tomba delle relazioni d’amore”. In seguito è stato proiettato The Borders Never Die del regista iraniano Hamidreza Arjomandi. Raccontandoci il viaggio di due futuri genitori curdi, mostra la complessità dell’esistenza di coloro che, per colpa della guerra, si trovano ad affrontare la perdita di quel posto che una volta chiamavano casa, e non solo. Il film riesce a stimolare una profonda riflessione che domanda empatia e consapevolezza riguardo i molteplici – e non tutti pacifici – “qui e ora” del mondo in cui noi ognuno di noi vive. A seguire è stato presentato il corto della turca Ilayda Iseri, Game, Interrupted: due bambini alla vigilia del colpo di stato militare del 1979 passano il tempo giocando, ma un’inattesa visita giunge alla loro porta. In quest’opera viene toccato il tema della guerra e dei segni che essa lascia sui più giovani. Un tema simile è trattato dal siriano Mohamad W. Ali in Father’s Footsteps che presenta la guerra non tanto come fatto in sé, quanto in relazione ai suoi effetti che non risparmiano nessuno: da un padre che viene a mancare a una madre che oltrepassa ogni limite per proteggere il proprio bambino. Dalla Siria si è passati poi al Kazakistan con Polina Khalenko e Something’s Wrong, con una vita che si ripete all’infinito e un uomo privato di ogni cosa – anche della possibilità di morire – che trova il coraggio di spezzare il cerchio dopo aver compreso che moglie e figlia gli mentono.
Nel pomeriggio era invece salito sul palco Stefano Locati, da sempre curatore del programma East Asia Now, che quest’anno ha presentato quattro nuovi cortometraggi provenienti da Giappone, Myanmar, Singapore e Filippine. I corti proiettati hanno affrontato temi differenti, dall’amicizia alla solitudine, dalla vacuità della società dei mass media al senso di colpa, accomunati da un approccio intimo e quasi trascendentale. Il primo è stato Two Of Us, del regista giapponese Igarashi Kohei, un’ode all’amicizia e alla disillusione. A seguire, il corto dal Myanmar The Altar, regia di Moe Myat May Zarchi, una fiaba buddhista sul senso di colpa, narrata con uno stile misto di fotografia, animazione e suoni ambientali. Il terzo corto è stato Bagasi, del regista singaporiano Nelson Yeo, una storia surreale in cui una donna trascina con sé una pesante sacca per le strade notturne di periferia. A chiusura del programma è stato proiettato il corto filippino Primetime Mother, regia di Sonny Calvento, una satira che espone la natura spietata e sfruttatrice del mondo dello spettacolo. La giornata si era aperta invece con Short Meets Venezia Comics and WeShort, uno spazio dedicato a due dei partner del Festival. WeShort è una piattaforma di cortometraggi on demand che ha da anni una stretta collaborazione con lo Short e che vede il proprio fondatore, Alessandro Loprieno, nella giuria di una delle menzioni speciali. Quest’anno WeShort ha presentato anche un’opera originale: il cortometraggio drammatico Safari, in cui Leonardo Balestrieri racconta tematiche legate al mondo LGBTQIA+. A seguire è stato presentato Young Filmakers at Ca’ Foscari-VIU, che ha proposto video e corti realizzati da studentesse e studenti di Ca’ Foscari e della Venice International University. È stata la studentessa cafoscarina Elizaveta Zalieva a presentare i suoi due ultimi cortometraggi, che hanno al centro il modo in cui la quotidianità si inserisce nella pratica artistica e il rapporto inscindibile che l’essere umano forma con l’ambiente nel quale è inserito. A conclusione del programma sono stati proiettati i corti della summer school Films in Venice and Filming Venice, giunta ormai alla sua quinta edizione, che ha visto venti studenti provenienti da tutto il mondo lavorare su progetti cinematografici incentrati sulla città di Venezia.