Il celebre DoP si racconta e parla ai giovani dello Short: “Non provate rimpianti per il passato, sfruttate il digitale e difendete la vostra giovinezza!”
Nel pomeriggio dell’ultima giornata del Ca’ Foscari Short Film Festival il programma si è concluso con una masterclass speciale da parte di uno degli ospiti più attesi: Luca Bigazzi, direttore della fotografia di alcuni tra i più importanti film italiani degli ultimi trent’anni. La sua carriera è stata ripercorsa in una lectio magistralis, nella quale ha illustrato il suo metodo di lavoro, commentando anche alcuni estratti di Ariaferma, uno dei suoi ultimi lavori, che ha già conquistato due David di Donatello. A presentarlo sul palco e a guidare l’intervista è stato Robin Andrioli, ex studente del Master in Fine Arts in Filmmaking di Ca’ Foscari, ora direttore della fotografia.
Sette David di Donatello, sette Nastri d’Argento e curatore della fotografia del film premio Oscar La grande bellezza: Luca Bigazzi è il direttore alla fotografia più importante del cinema italiano contemporaneo. Esordisce come DoP nel 1983 con Paesaggio con figure di Silvio Soldini e proprio la collaborazione artistica con il regista lo porterà a conquistare ben due David di Donatello: nel 2000 con Pane e tulipani e nel 2002 con Brucio nel vento. La sua carriera vanta celebri collaborazioni, fra le quali si ricordano quelle con Mario Martone, Giuseppe Piccioni, Ciprì e Maresco, Paolo Virzì e Daniele Luchetti. Nel 2004 inizia a collaborare con Paolo Sorrentino, insieme al quale ottiene una serie di prestigiosi riconoscimenti, vincendo ad esempio sia il David di Donatello che il Nastro d’Argento come miglior direttore della fotografia per Le conseguenze dell’amore nel 2005, per This Must Be the Place nel 2012 e per La grande bellezza nel 2013.
L’incontro all’Auditorium è stata l’occasione per ripercorrere la lunga e pluripremiata carriera di Bigazzi, sin dall’esordio di Paesaggio con figure, film nato sui banchi del liceo con l’allora compagno di scuola Silvio Soldini: “Lo abbiamo girato in sei mesi, io non sapevo assolutamente nulla, non avevo mai fatto una scuola di cinema né letto un libro di fotografia”. Tuttavia, ha confessato, questa inesperienza iniziale si è trasformata negli anni in uno dei suoi più grandi punti di forza, perché, paradossalmente, l’esperienza può rivelarsi un ostacolo: “Io credo che prepararsi eccessivamente sia un errore. La mia principale qualità è che mi dimentico qualsiasi cosa e così facendo non applico mai lo stesso metodo, è come se per ogni film facessi tutto da capo. L’esperienza è un terribile danno, si rischia di ripetere ciò che si è già fatto”. Bigazzi ha invitato quindi i giovani registi e aspiranti DoP a rivendicare e difendere la propria gioventù, in grado di portare creatività e innovazione.
Altra caratteristica peculiare del “metodo Bigazzi” è sicuramente la velocità, che lui stesso indica come principale qualità di un direttore della fotografia. “La mia ossessione è essere veloce: più sono lento, pretendendo una presunta artisticità, più danneggio il film” ha confessato al pubblico, sottolineando come la celerità sia essenziale anche in rapporto alla luce, che varia continuamente durante il giorno, alterando le riprese. È proprio la luce, infatti, a occupare gran parte del lavoro del DoP; tuttavia, Bigazzi è conosciuto per usarne pochissima e sul palco dell’Auditorium ha rivelato la motivazione di questa scelta, a partire dalla proiezione di una scena tratta da Ariaferma, film a cui ha lavorato lo scorso anno con il regista Leonardo Di Costanzo. L’estratto scelto presentava una scena girata in un carcere in cui improvvisamente salta la corrente: Bigazzi ha raccontato come non abbia aggiunto nessuna luce, lasciando che gli attori diventassero ‘capi elettricisti’ illuminando la scena con delle semplici torce. “Dieci anni fa una scena del genere, con quindici minuti di buio, sarebbe stata impossibile, avrei dovuto inserire moltissime luci fuoricampo, penalizzando la logica del racconto per seguire l’estetica. Probabilmente avrei direttamente rifiutato il film”. La scena in questione, come moltissime altre, è stata resa possibile grazie all’uso delle nuove tecniche digitali, grazie alle quali secondo Bigazzi il lavoro risulta notevolmente semplificato. Da anni ormai, il direttore alla fotografia dichiara di preferire di gran lunga il digitale rispetto alla pellicola, per il realismo che ne deriva, per la facilità d’uso, ma soprattutto per la qualità del prodotto finale. “Ho sofferto mostruosamente tutta la vita a fare cose irrealistiche perché non c’erano i mezzi adatti, ora voi giovani avete davanti strumenti di riproduzione della realtà che io potevo solo sognare quando ho iniziato; sfruttateteli senza avere il rimpianto del passato”. Bigazzi ha poi concluso cogliendo l’occasione per dare un consiglio alle nuove generazioni: “Il conservatorismo e la resistenza all’innovazione sono dannosissimi. Fidatevi del vostro istinto, servitevi dei mezzi che ci sono e sperimentate il più possibile: non buttate la vostra giovinezza, è la cosa più preziosa che avete”.